martedì 29 novembre 2016

Il Guardiano della sabbia Antonio Ognibene

Il primo uomo su Marte potresti essere tu.”
Geremia Slasken faticò ad aprire le palpebre. Si stropicciò gli occhi, e con l'unghia del mignolo tolse le secrezioni dagli angoli.
Si mise a sedere sul letto e spense la suoneria melodica del vecchio smartphone.
Guardò l’immagine di sfondo sul vetro crepato: una ragazza sorridente che abbracciava un bambino dai boccoli castani.
 Aiutandosi con le mani, mise le gambe fuori dal letto.
Punto di arrivo: Marte, con biglietto di sola andata. Geremia Slasken, sessantenne di Borgolupo ancora con un fisico da atleta, è l’unico pensionato tra i cento aspiranti coloni selezionati in tutto il mondo, per l'audace impresa di colonizzare il Pianeta Rosso. Lo ha saputo Lunedì scorso, mentre andava a ritirare la pensione.
─ Un giorno che non dimenticherò mai ─ racconta al “Corriere Nazionale”.
─ Se me l’aspettavo? In realtà ero un po' scettico, all'inizio c’erano oltre duecentomila candidati, gente quasi tutta diplomata o laureata. Alla fine siamo passati in cento. Posso ormai dire di aver agguantato il mio sogno. Manca l'ultima selezione. ─ ridacchia ─ Chi l'avrebbe mai detto che su Marte sarebbe servito un faro.
Già, perché Geremia ha un attestato di farista, conseguito nel lontano 1970. Prima del pensionamento gestiva un faro della Marina Militare.
I colori delle luci dell'alba marziana non avevano ancora la forza di entrare dalle fessure dell'avvolgibile.
Ancora nella penombra, l’uomo attraversò la stanza da letto strisciando i piedi fino all'attaccapanni da cui prese un paio di jeans e una camicia bianca. Riusciva a distinguerli solo strizzando gli occhi.
La grande ambizione di Geremia si chiama Mars Destination, la missione multinazionale che ha l’obiettivo di creare una colonia umana permanente di ventiquattro persone su Marte. Ma c'è un dettaglio da non sottovalutare: non è contemplato il biglietto di ritorno.
Già, il viaggio prevede la sola andata. E vabè.
─ Al momento mancano i finanziamenti e la tecnologia per il ritorno, ma non è detto che tra una decina di anni le cose non si saranno evolute. Spero di esserci ancora. ─ dice scherzando.
Entrò in corridoio, poi in bagno.
Urinò in un contenitore a tenuta stagna, rabboccandolo. Il congegno era collegato alle tubazioni che terminavano in un dispositivo ATU-O2. Questa apparecchiatura consentiva di trasformare le minzioni dentro un biogas, che serviva per farsi docce calde e cucinare. I pannelli solari erano riservati soltanto per azionare il faro e le strumentazioni della base. Era una procedura che lo faceva sempre sorridere, perché pensava al problemino alla prostata.
Non hai paura di rimanere bloccato lassù?
─ Ci ho pensato spesso, sai? Ma la consapevolezza che qui sulla Terra non ho più nessuno, mi ha spinto a prendere la decisione. Eppoi il mio spirito di avventura ha fatto il resto.
─ Comunque saremo addestrati su come affrontare eventuali crolli psicologici. Potranno capitare situazioni parecchio difficili, dovremo essere pronti a coalizzarci per sopravvivere.
─ Mi aspettano un po' di anni di preparazione intensiva, con prove fisiche, psicologiche e attitudinali, prima di partire con lo scaglione iniziale di quattro astronauti nel 2025.
Sei già così sicuro di far parte dei ventiquattro coloni?
Sì, perché al momento siamo solo in due a possedere i requisiti per dirigere un faro: io e il mio vice, che è più giovane. Lui però avrà altre mansioni, mi sostituirà solo in caso di malattia o di... Mi tocco, ah,ah.
Girò la maniglia della doccia, e aspettò che l’acqua diventasse calda.
Si mise sotto il getto, esponendo il petto alla pioggia dei sottili e sprizzanti rivoletti. La cabina si era riempita di un intenso odore di cloro.
Uscendo lasciò una scia bagnata fino in cucina, dove, con gesti meccanici, mise su del caffè d’orzo.
Si accomodò a sedere a un anglo del tavolo, aspettando che la manopola del tostapane avesse finito il giro.
Ma perché tutta questa voglia di lasciare la Terra?
─ Ripeto, sono un pensionato con lo spirito avventuriero. Poi dopo la morte di mia figlia e del mio nipotino (In un incidente aereo tre anni fa , ndr) ho passato momenti di terribile depressione ─ racconta ─ fino a quando ho letto su Internet l'annuncio di Mars Destination. Vivere qui o su un altro pianeta, per me è la stessa cosa.
─ Certo, il paesaggio sarà più monotono di quello terrestre, ─ continua ─ ma non ho paura di annoiarmi. C’è un intero pianeta da scoprire. Come cantava Eugenio Finardi: “Voglio un  pianeta su cui ricominciare”.
Prese le fette di pane e ci spalmò sopra del burro. Avevano il solito sapore di sempre. Provò a mandarle giù con un paio di sorsate d’orzo, per dare un gusto diverso al boccone.
Guardò il calendario appeso al muro, per vedere quanto mancava al prossimo approvvigionamento.
Tu sarai l'eventuale addetto al faro della base, allora.
─ Esatto. Dovrò azionarlo quando ci saranno le tempeste di sabbia. In quel caso agli esploratori non basteranno solo i sistemi digitali. Il mio compito sarà proprio quello di dare loro un punto di riferimento per il  rientro alla base.
─ Vedi, su Marte le tempeste di sabbia possono estendersi su una piccola zona così come sull'intero pianeta. E sono in grado di durare anche un mese. Li chiamano “dust devil”.
I gradini scricchiolavano sotto i piedi dell'uomo, mentre saliva su per una rampa circondata da una struttura incastellata in acciaio, fino alla stanza di guardia. Con le mani e con i piedi si aggrappò a una scala a chiocciola che lo portò a una botola che conduceva al faro.
Nel locale c'era ancora quella nota profumata, fresca e rilassante di lavanda.
Pigiò alcuni pulsanti su un pannello di controllo e spinse in avanti un paio di leve che azionarono il meccanismo rotatorio del fanale a LED. Si assicurò che le spie degli accumulatori fotovoltaici fossero accese.
Una forma a spirale scura, si stava materializzando dalle parti di una rete di canyon.
Geremia si infilò la tuta spaziale e uscì fuori, appoggiando il ventre al parapetto. Avvicinò il binocolo alla visiera: tempesta di sabbia in arrivo.
Con gli occhi incollati sull'obiettivo, fece il giro della torretta. Ovunque guardasse, nella visuale del binocolo c'era solo un oceano di sabbia rossa.
Se le cose andranno secondo i tuoi piani, sarai un guardiano del faro a tempo pieno. Un incarico di altissima responsabilità.
─ Beh, è proprio così. Ma mi dovrò occupare anche di un piccolo appezzamento di terra, su cui coltivare un orto.
Diede un'occhiata allo smartphone. Il countdown era quasi completato. La spedizione sarebbe arrivata entro pochi minuti.
E se la missione dovesse saltare ?
─ Non salterà. Sono destinato a fare qualcosa di grande, lassù.
Rientrò nel faro girando i maniglioni che sigillavano il portone di acciaio a tenuta stagna.
Pressurizzò la stanza e si tolse il casco, riponendolo nell'armadietto assieme alla tuta.
All'improvviso si accese una spia rossa, seguita da un suono acuto. Le braccia di Geremia ebbero un brusco sussulto.
Scese in fretta la rampa di scale e andò verso l'ingresso. Nell'aria c'era ancora il profumo dell'orzo e delle fette di pane tostato.
─ Sono già qui? Possibile? ─ si domandò ─ devono essere arrivati da Ovest.
─ Buongiorno. ─ disse una voce al videofono ─ Il vento è molto forte oggi.
Geremia riconobbe uno dei medici della base.
─ Mi fa entrare? ─ chiese con cortesia ─ Non vorrei essere spazzato via.
─ Certo, certo. ─ balbettò disorientato.
Il guardiano azionò il dispositivo di momentanea depressurizzazione dal quadro di controllo.
─ Scusi dottore, ma come riesce a starsene là fuori senza tuta? ─ chiese mentre richiudeva la porta stagna dell'airlock.
L'uomo sorrise.
─ Gli androidi non hanno bisogno di tute spaziali. ─ disse strizzando l'occhio ─ E io sono un androide, non ricorda?
─ Ah... certo, certo ─ balbettò ─  lei è così reale che la scambio sempre per un... beh...
─ Un umano? ─ disse ─ E invece sono un ammasso di ossa in plastica, sangue chimico e tessuti artificiali.
─ Mi scusi, non era mia intenzione...  ─ disse imbarazzato ─ Comunque è un AD 2.0 di ultimissima generazione. Un ottimo modello.
─ Non si preoccupi ─ disse, appoggiandogli una mano sulla spalla. ─ non mi sento offeso.
─ E gli altri? ─ chiese Geremia, cercando di cambiare discorso.
─ Gli altri? Ah, già. Stanno parcheggiando il rover.
─ Parcheggiando? Dove?
─ In garage.
Geremia si grattò la nuca, manifestando uno stato di leggera confusione.
─ Boh?
─ Sono venuto a prenderle la pressione.
─ Ma io sto benissimo.
─ Lo so, ma fa parte della prassi, rammenta? Si stenda e mi dia il braccio, su.
Il medico applicò il bracciale dello sfigmomanometro digitale all'uomo.
─ Com'è? ─ chiese Geremia.
─ Non male. ─ disse, rimanendo attento nell'auscultare il battito cardiaco dallo stetoscopio.
Il medico rimise l'attrezzatura a posto e uscì salutando Geremia.
─ Bene, ci vediamo domattina.
─ A domani. ─ contraccambiò il farista, allacciandosi il polsino della camicia.
L'uomo in camice bianco attraversò il corridoio e si fermò davanti a una porta.
Bussò.
─ Avanti.
─ Buongiorno professore, ho qui la cartella clinica aggiornata del paziente arrivato l'altro ieri.
Il primario la prese in mano sorridendo.
─ Ah. Quel tipo che si crede un guardiano del faro su Marte. Continui pure ad assecondarlo.

2 commenti:

  1. Caro Antonio, felice di risentirti dopo tanto tempo; felicissimo, soprattutto, di pubblicare un tuo nuovo, avvincente racconto sulle pagine di Asimov.
    Ciao

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