Per via del rumore assordante era impossibile chiudere occhio in quel pomeriggio
afoso d’estate.
Disteso sull’erba all’ombra di un albero smuk – il cui tronco
massiccio ospita solitamente una nutrita colonia di vermi, che si cibano con
ingordigia di quel tenero legno – da più di un’ora O’Glas si rigirava su un
fianco e sull’altro, senza riuscire a prendere sonno. Per di più sbuffava di
stizza, come un vecchio, logoro mantice sfiatato.
Di quando in quando, dalla sua
gola uscivano rochi grugniti – ora alti, ora bassi – segno di un nervosismo
sempre crescente che, come tutto lasciava supporre, sarebbe esploso da un
momento all’altro. E infatti eruppe con un grido vibrante, acuto, inumano.
Quanto a quest’ultimo epiteto, occorre qui precisare che O’Glas umano non era,
in quanto alieno di Blok, uno dei quattro pianeti del sistema di Com, nella
galassia di After.
C’è da dire che tutti i blokiani, ogni volta che gridano, lo
fanno in un modo così spaventoso da fare rizzare i capelli. È però risaputo che
mai a nessun blokiano si sono rizzati, dal momento che di capelli essi sono
sprovvisti. La loro testa, infatti, è tonda e liscia come una mela o, se si
preferisce, come una palla da biliardo. Ma in verità il secondo paragone è
inutile farlo a un alieno di Blok: non lo capirebbe. Egli non sa, assolutamente,
cosa sia una palla da biliardo.
Sta di fatto comunque che O’Glas, per via del
rumore assordante (come si è detto all’inizio), si alzò irritato dall’erba su
cui era disteso e volse uno sguardo indagatore e corrucciato tutt’intorno.
Poco
dopo, individuata la fonte del rumore, si avviò verso quella direzione. Sembrava
che i suoi occhi mandassero lampi mentre guardava ora a destra ora a sinistra.
Dietro il muro di una casetta a forma di cubo (su Blok non esistono grandi
dimore, poiché i blokiani, per natura, sono alquanto bassi e minuti e non hanno
bisogno di ambienti spaziosi dove abitare), O’Lur martellava furiosamente un
grosso e stranissimo aggeggio di metallo che, a guardarlo, non si capiva che
fosse. Era in un bagno di sudore e aveva il respiro affannoso per lo sforzo
continuo. O’Glas gli si avvicinò a passi spediti e, a voce alta, tanto da
sovrastare il rumore:
«Posso sapere, di grazia, che stai combinando?» chiese, le
mani sui fianchi. «Per colpa tua non riesco a dormire, maledizione! Perché non
smetti con questo fracasso?»
«Smettere?!» fece allora O’Lur tergendosi il volto
col palmo della mano.
«Non chiedo di meglio,» rispose O’Glas, di rimando.
«Non
posso lasciare incompiuta la mia creazione,» fece l’altro additando ciò a cui
stava lavorando. «Proprio adesso, poi, che l’ho quasi finita… Soltanto qualche
ritocco qua e là ed è pronta per essere usata.»
«La tua… cosa?»
«La mia
catapulta spaziale,» rispose non senza una punta di orgoglio nella voce, «con
tanto di cabina e poltrona dove sedere comodamente; con una durevole scorta di
viveri e una riserva d’aria di tloss.»
«La tua… cosa?» ripeté, incredulo,
O’Glas.
«È una vita che ambisco di mettere piede su Argon, il nostro satellite…
Vedi?» E indicò una piccola sfera giallastra che, nel mezzo di un cielo
turchese, sembrava come affacciata a una grande finestra dando l’idea di
osservare, incuriosita, quanto accadeva su Blok.
O’Glas, dopo avere distolto lo
sguardo dal cielo, parve considerare l’aggeggio che O’Lur aveva davanti. Infine,
dopo un lungo sospiro:
«Da quando credi di essere uno scienziato capace di
realizzare un mezzo volante?»
«Non sono uno scienziato, ma un buon artigiano
senz’altro, appassionato di voli e di spazio.»
«Uhm!» esclamò O’Glas
accarezzandosi il mento. «Non entrerei in quel coso nemmeno se tu mi pagassi.»
«Pensala pure come vuoi, ma questo coso – come tu dici – mi porterà su Argon.»
Seguirono alcuni momenti di silenzio, dopo di che O’Glas, grattandosi il lobo di
un orecchio:
«E come funziona la tua catapulta spaziale? Sempre, beninteso, che
essa funzioni davvero,» osservò con un sorrisetto beffardo. «Quale energia
propellente potrebbe farti arrivare lassù, sul nostro satellite? Bada: è
piuttosto lontano.»
«Hai mai sentito parlare dell’Erien K-28?»
«Oh, quello?»
«Appunto. Mi darà la spinta necessaria a raggiungere Argon, in un tempo
relativamente breve.»
«Lo credi davvero?»
«Con fermezza!»
Ci furono altri
momenti di silenzio, durante i quali O’Lur si diede a osservare, con grande
soddisfazione, la sua catapulta spaziale; O’Glas, invece, con evidente
scetticismo.
Nel frattempo il caldo era diventato insopportabile, dal momento
che i due, al di fuori da ogni riparo, erano esposti ai terribili raggi di Com,
una stella blu la cui temperatura – è risaputo – supera quella delle altre
stelle: rosse, gialle, arancioni eccetera. «Mi dici, O’Lur, che te ne viene ad
andare su Argon?» domandò O’Glas girando attorno alla catapulta, come intendesse
osservarla da tutti i lati e nei minimi particolari.
«Voglio dire: che cosa
farai una volta sul nostro satellite? Sempre che questo trabiccolo – per tutte
le stelle dell’Universo! – ti ci faccia arrivare davvero (non vorrei che tu
ricadessi nel punto di partenza dopo pochissimi metri di volo). Dimmi, dunque:
che cosa farai?»
«Che cosa farò?» ripeté O’Lur.
«Te lo sei domandato? E poi,
come farai a tornare su Blok, dopo che avrai appagato il tuo desiderio di
mettere piede su Argon?» Fece una pausa quindi, scrollando la testa, soggiunse:
«Non credo che sul satellite esista una rampa di lancio per la tua catapulta…
qualcosa, insomma, che ti permetta di tornare indietro; non credo, inoltre, che
vi siano posti dove rifornirsi di Eriten K-28, nel caso tu avessi bisogno di
propellente.»
O’Lur guardò fissamente O’Glas, meditando in apparenza sulle sue
parole. Quindi prese a grattarsi la testa e, con disperazione, a cercarvi una
ciocca di capelli per attorcigliarla attorno a un dito, come avviene talora in
momenti di intensa riflessione. Ma di capelli, sul suo capo, neppure l’ombra.
«Oh, accidenti!» esclamò alla fine. «Credo tu abbia ragione. Come potrò venir
via da Argon se – metti il caso – mi stuferei di restarvi? Da quel che sappiamo,
il satellite è completamente deserto, disabitato, senza strutture né
qualsivoglia marchingegno…»
«Appunto.»
«… che potrebbe aiutarmi a tornare su
Blok.»
«Già!» fece O’Glas incrociando le braccia sul petto e scuotendo più volte
la testa. «Saresti – per dirla in poche parole – condannato a restare su Argon,
anzi a morirvi di fame e sete in brevissimo tempo.» Tacque per un istante, poi:
«Ma può anche accadere – e occorre tenerlo in considerazione, qualora tu non
l’avessi già fatto – che la tua catapulta non centri il bersaglio e che, di
conseguenza (non voglio neppure pensarlo), tu venga scagliato nello spazio
vuoto, freddo, profondo.» Fece una piccola pausa, poi, con apprensione: «Ci hai
mai pensato? Dimmi: saresti in grado, in quel caso, di tornare indietro? di
agganciare l’orbita di Argon o, meglio ancora, quella di Blok?» Rimase ancora in
silenzio per un po’, quindi soggiunse: «Lascia che te lo dica: questo tuo
aggeggio spaziale è, ne sono persuaso, qualcosa di inutile, di inservibile. Ha
tutto l’aspetto di una… di una… ecco, sì… di una creazione scultorea che
potresti inviare, più che su Argon, all’Esposizione d’Arte Moderna di Malvok.»
«Tu credi?»
«Lo credo e ripeto: come scultura la tua catapulta ti aprirebbe le
porte del mondo dell’arte, come navetta spaziale dubito molto che questo
ridicolo ammasso di ferraglie ti darebbe – una volta sul nostro satellite o in
qualsiasi luogo nello spazio – la possibilità di tornare a casa.»
Ancora una
volta O’Lur prese a grattarsi, distrattamente, la testa rotonda e levigata.
«Uhm!» disse infine allargando le braccia. «Questo sì che è un grosso problema!»
«Ecco, da bravo,» fece allora O’Glas con un sorrisetto, «risolvilo bene prima di
entrare in quell’aggeggio e farti catapultare chissà in che luogo dello spazio,»
e con un dito indicò vagamente il vasto cielo, senza distogliere gli occhi dal
viso di O’Lur. «Per quanto riguarda il mio problema, la sua soluzione sarà
conseguente – credimi – alla soluzione del tuo.»
«E cioè?»
«Riuscirò finalmente
a dormire sotto quell’albero smuk allorché – una volta presa la più assennata
delle decisioni – smetterai di martellare questo inutile coso.» Scrollò
leggermente la testa, poi: «Consiglio anche a te di dormire all’ombra di un
fresco riparo, prima che questo terribile caldo ti cuocia il cervello, più di
quanto non abbia già fatto.» Sollevò un poco le spalle, quindi, allontanandosi
da O’Lur: «Catapulta spaziale! Puah!»